L’identità è come ognuno percepisce se stesso, attraverso processi mentali che accolgono o escludono – ma che in sostanza deformano e limitano la realtà – e attraverso i sensi, che ci restituiscono anch’essi una realtà parziale ed estremamente limitata.
I nostri occhi per esempio rilevano una porzione molto ridotta dello spettro elettromagnetico, che va da 430 (corrispondente al rosso scuro) a 770 THz (violetto).
Il nostro udito coglie frequenze che nel migliore dei casi possono andare dai 20 ai 20000 Hz; io però percepisco suoni solo dai 30 ai 13000 Hz.
Il nostro tatto poi è estremamente grossolano: se fosse tarato con la stessa sensibilità acustica saremmo in grado di avvertire ogni fotone che ci colpisce.
Gusto e olfatto, a seconda dei soggetti, sono comunque rilevati da ricettori tarati esclusivamente sulle nostre esigenze di sopravvivenza materiale e terrena.
L’uomo, tuttavia, è strutturato anche da campi energetici che i nostri sensi ordinari non percepiscono, se non con il bistrattato sesto senso, che può essere via via praticato e affinato. Ma comunque esistono! e creano una propria identità in senso lato. Un’identità che muta a seconda dell’integrità fisica e degli stati umorali, dell’ambiente che ci circonda e da come reagiamo ad esso.
Mutare identità potrebbe diventare quindi percezione di un campo, in cui il corpo fisico è solo la parte più “pesante”, un campo sempre più sottile e ancora più sottile, fino a potersi identificare con l’altro, col mondo, con gli altri mondi e le stelle, con tutto l’universo, fino a identificarsi al principio primo.
Con questo lavoro ho voluto rendere evidente questa identità espansa, mutevole e così difficilmente percepibile.